Mutazioni Genetiche ed Esemplari Post Organici

di Jacqueline Ceresoli:

 La rappresentazione degli animali nella storia dell’arte ha avuto un ruolo determinante dalla preistoria ad oggi: dipingerli sulle pareti delle grotte per i primitivi era considerato un auspicio di buona caccia, mentre nella pittura greca e romana diventano un presupposto formale, estetico e decorativo che svela il loro interesse naturalistico. Nell’arte bizantina e cristiana gli animali assumono valori simbolici e allegorici connotativi che influenzano l’iconografia medioevale e i bestiari. Nella seconda metà dell’Ottocento, in seguito alla rivoluzione industriale, la teoria evoluzionista teorizzata da Charles Darwin e altri cultori del positivismo, nell’animale si comincia a cercare in ambito scientifico qualche traccia del mistero della creazione, un tema che ha affascinato quell’epoca.

Nella pittura e nella scultura l’esemplare non umano ha seguito due intenti: il primo estetico/decorativo, e il secondo, alla fine del XIX secolo assume un valore simbolico, onirico, visionario come critica alla modernità, alla ragione, alla scienza.  Nel Novecento diventa ready made di un organico perduto, lontano nel tempo e nello spazio dall’epoca moderna, quando si cita un animale, in particolare nella pittura simbolista, inevitabilmente si rimanda a qualche principio naturale, al primigenio, a una sfera misteriosa dell’inconscio compresso sotto la coltre della ragione. Ogni epoca trova nell’animale un’idea diversa di cultura antropocentrica, e tale visione ieri, oggi e domani è anche un invito a ripensare attraverso gli animali schiavizzati dall’uomo le nostre radici e a immaginare il futuro.

COLLECTION

La mutazione genetica è un elemento identitario della ricerca artistica di Alice Zanin e dopo una serie di esemplari marini, dall’indubbio fascino come i cavallucci sospesi come libellule nello spazio, in questo nucleo di sculture l’artista si concentra sui materiali tipici della tradizione cinese, ricreandone attraverso la carta brillantezze e seduzioni cromatiche, dalle terrecotte ai céladon, dagli avori agli smalti alle lacche ed espone un campionario di animali di terra e di aria, come i suoi riconoscibili uccelli, i cavalli e i pachidermi erbivori, mammiferi di grossa taglia di provenienza extraeuropea: l’elefante e il rinoceronte però in una versione miniaturizzata e sotto teche in plexiglass, smaterializzati dal loro peso corporeo, fluttuanti nell’aria, che invitano lo spettatore a ripensare la visione antropocentrica del mondo, l’arroganza del dominio della cultura occidentale, cause ed effetti della civiltà moderna nella nostra epoca post-colonialista.

Andiamo con ordine, l’elefante nella cultura cinese diventa simbolo di forza e di sapienza, in quella indiana, esso è cavalcato dai re, quello bianco annuncia la nascita di Buddha e diviene simbolovahan (dal sanscrito vahana “veicolo, cavalcatura”). Ritroviamo nella cultura occidentale il pachiderma esotico che in virtù della sua longevità e intelligenza assume un attributo divino. Infatti la sua longevità ne ha fatto l’emblema del superamento della morte. Nell’iconografia cristiana tardo-antica del Physiologus(manoscritto ellenistico del II secolo d.C. redatto ad Alessandria d’Egitto) e nei bestiari medioevali si valorizza la sua esemplare purezza. Secondo alcune credenze del mondo tardo antico si racconta che l’elefante partorisce nell’acqua e di nascosto, in Europa insieme all’unicorno, esso appartiene alla schiera degli animali esotici che compaiono nelle favole e nell’ambito mitologico. Quelli piccoli di Zanin, svuotati dal loro peso corporeo, ci appaiono lievi come foglie al vento, dai toni azzurrati o diversamente grigi eternizzati sotto teche, come ex voto di naturalità originaria rimossa nella nostra cultura digitale. Il rinoceronte ci fa pensare all’Africa, alle foreste vergini del Sud America, continenti colonizzati dagli europei dal Cinquecento in nome di chissà quale superiorità con l’obiettivo di civilizzare i “selvaggi” e la brama di nuove conquiste di territori incontaminati, Eden violati dall’uomo. Il rinoceronte per la sua colossale mole incarna nell’iconografia fantastica il monstrum, il meraviglioso, il prodigio, una forma arcaica contemporanea e remota al tempo stesso che ha affascinato Albrecht Dürer, come rivela l’incisione del 1515, raffigurato senza vederlo sulla base di descrizioni come una macchina mostruosa, poi Henry Moore, Graham Sutherland, Salvator Dalì, Pino Pascali, Mario Merz, Mimmo Paladino e nel teatro dell’assurdo Eugène Ionesco, autore della pièce dal titolo Rhinoceros (1959).  Zanin trasforma l’elefante, il rinoceronte e gli altri animali del suo zoo immaginario, simboli di saggezza, solitudine, pazienza e stabilità in feticci rarefatti privi di spazio e tempo, dai colori inquietanti, come se generati da chissà quale mutazione genetica, nati per intenti sperimentali dalla mente di scienziati folli decontestualizzati.  Questi animali nella loro leggera maestosità con grazia e levità sollevano dubbi sulle cause ed effetti delle mutazioni genetiche in corso di studio, sulle clonazioni e per associazione sull’urbanizzazione forzata dell’Africa, dell’India, dell’ambiente in generale. Zanin con profonda leggerezza critica i comportamenti discutibili dell’uomo sedicente civile sulla Natura che si giustifica in nome del progresso, dimenticando che su questa Madre Terra siamo ospiti e non padroni. Le sue inattese sculture formato bonsai, fiabesche, di carta, leggere come l’aria, se osservate con la lente d’ingrandimento smascherano l’arroganza dell’uomo contemporaneo che dal secolo scorso ha violato un patto di rispetto e di armonia con la Natura, da abitare e condividere con gli animali, perché sogniamo di volare sempre più lontano, sempre più velocemente da un capo all’altro del mondo, siamo sbarcati sulla Luna e forse a breve calpesteremo Marte, ma poi su questo pianeta che ci ospita dall’alba dei tempi dobbiamo prima o poi tornare !  

                                                                                                                                                                                                                                                                                                  

Genetic Mutations and Post-Organic Specimens
by Jacqueline Ceresoli

From prehistoric times to today, the representation of animals played a key role in the history of art: to paint them on cave walls was considered by primitive men a good omen for hunting, while in Greek and Roman painting they become a formal, aesthetic and decorative prerequisite, revealing their naturalistic interest. In Byzantine and Christian art, animals take on symbolic and allegorical values that will influence medieval iconography and bestiaries. In the second half of the nineteenth century, following the industrial revolution and the theory of evolution theorized by Charles Darwin and other positivism enthusiasts, we begin to look at animals in search for some scientific traces of the mystery of creation, a fascinating matter in those years.

In painting and sculpture, the non-human specimen had two purposes: aside from the aesthetic/decorative one, at the end of the nineteenth century it assumes a symbolic, oneiric, and visionary value, becoming a critique of modernity, reason, and science. In the twentieth century, it becomes a ready-made of a lost organic, far away in time and space from the modern era; when we allude to animals, particularly in symbolist painting, we necessarily refer to some natural principle, to the primordial, and to the mysterious sphere of the unconscious, constricted under the blanket of reason. Every age finds in the animal its own idea of anthropocentric culture, and this very vision – yesterday, today and tomorrow – is also an invitation to rethink our roots and to imagine, through animals enslaved by man, the future.

The genetic mutation is a peculiar element of Alice Zanin’s artistic research, and after a series of captivating marine specimens – like her sea horses suspended like dragonflies in space –, in this nucleus of sculptures the artist focuses on materials that are typical of the Chinese tradition, recreating with paper the brilliance and chromatic seductions of terracottas and celadons, of ivories, enamels and lacquers. She exhibits a collection of samples of land and air animals, such as her recognisable birds, horses and herbivorous pachyderms, the large mammals of extra-European origin. The elephant and the rhinoceros are, however, presented in a miniaturized version, displayed under Plexiglas cases; deprived of their body weight, and floating in the air, they invite viewers to rethink the anthropocentric vision of the world, the arrogance of the Western culture dominion, and the causes and effects of modern civilization in our post-colonial era.

But first things first: in Chinese culture, the elephant is a symbol of strength and wisdom, while in India, ridden by kings, the white one announces the birth of Buddha and becomes a vahansymbol (from the Sanskrit vahana, “vehicle, mount”). In the Western culture, the exotic pachyderm, for its longevity and intelligence, takes on a divine attribute, becoming the symbol of overcoming death. Its exemplary purity is valued in the late ancient Christian iconography of the Physiologus(the Hellenistic manuscript written in Alexandria of Egypt in the 2ndcentury AD) and in the medieval bestiaries. According to some ancient beliefs, it is said that the elephant gives birth in water and hidden from sight; in Europe, along with the unicorn, it belongs to the ranks of those exotic animals that appear in fairy tales and in mythology. Zanin’s little ones, deprived of their weight, appear as light as leaves in the wind, with shades of blue or grey, immortalized under their display cases, as an ex-votoof that original naturalness that we removed with our digital culture. The rhinoceros makes us think of Africa, of the virgin forests of South America, and of those continents that have been colonized by Europeans since the sixteenth century in the name of a supposed superiority, with the aim of civilizing the “savages”, and the desire for the conquest of uncontaminated new territories, earthly paradises desecrated by man. In the imaginary iconography, for its colossal size, the rhinoceros embodies the monstrum, the marvellous, the prodigy; an at the same time contemporary and remote archaic form that fascinated Albrecht Dürer – as revealed by a 1515 engraving, in which he depicted it like a monstrous machine, on the basis of descriptions since he never witnessed one –, Henry Moore, Graham Sutherland, Salvador Dalí, Pino Pascali, Mario Merz, Mimmo Paladino, and Eugène Ionesco, author of Rhinoceros(1959), a Theatre of the Absurd play. Symbols of wisdom, loneliness, patience and stability, Zanin transforms the elephant, the rhinoceros and the other animals of her imaginary zoo into subtle fetishes devoid of space and time, with unsettling colours, as if they were generated by some kind of genetic mutation, or born with experimental intents from the mind of crazy and decontextualized scientists. In their slight majesty, these animals raise with grace and levity doubts about the causes and effects of genetic mutations, on cloning and, by association, on the forced urbanization of Africa, India, and of the environment in general. With profound levity, Zanin criticizes the questionable behaviour on Nature of the self-styled civilian man, who justifies himself in the name of progress, forgetting that on this Mother Earth we are all guests, and not masters. Her unexpected fairy-tale sculptures made of paper, bonsai-sized and light as air, when observed through the magnifying glass they unmask the arrogance of the contemporary man, who, since the last century, has violated a pact of respect and harmony with nature, which should be lived and shared with animals. We may dream of flying further and further, faster and faster, from one end of the world to the other – and this is why we landed on the moon and we will perhaps soon step on Mars –, but, in the end, we will have to come back, sooner or later, on this planet that has been hosting us from the dawn of times!

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